MECCANISMI D’EMOZIONE
Novembre 22, 2023La complessità c’è ma non si vede: si fa comfort, grazia e gioco nel design di Alberto Meda.
Si può visitare, dal 6 ottobre 2023 al 7 gennaio 2024, la mostra “Alberto Meda. Tensione e leggerezza” allestita da Riccardo Blumer al Museo del Design Italiano di Triennale Milano. La curatela di Marco Sammicheli, direttore del Museo, racconta in sintesi ma con passione un autore originale e lungimirante, maestro nel dispiegare senso, dunque bellezza, della tecnologia. Prodotti, progetti, disegni e marchingegni sono esposti nella Design Platform, spazio interconnesso con il Museo del Design che accoglie approfondimenti su temi e figure chiave. Due realizzazioni site specific – un sistema illuminante creato con la lampada Chiaroscura di Foscarini e un pannello retroilluminato a LED intagliato con il laser che disegna le silhouette dei prodotti più celebri – sistemate negli spazi della quadreria, dello scalone e del mezzanino di Triennale guidano i visitatori di altre mostre a immergersi nella wunderkammer di Alberto.
LEGGEREZZA, NON MINIMALISMO
Meda è nato a Tremezzina (Como) nel 1945 e si è laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Milano nel 1969. Costruisce strutture in tensione e snodi di libertà: le sedute sono architetture flessibili e leggere pensate per accogliere e sostenere il corpo in qualsiasi postura, le lampade servono la fluidità dei gesti e la rapidità del pensiero. Il concetto di tensione enunciato nel titolo allude al ruolo portante assegnato a reti elastiche di poliestere e PVC, a ossature asciutte e tenaci di materiali compositi, a flessioni di cerniere di titanio e ad articolazioni di metallo e poliuretano. La ‘leggerezza’ è anche ‘esattezza’: il risultato di una ricerca delle soluzioni tecnologiche più efficaci e della piena comprensione dei materiali che permette di usarne il minimo necessario. “Nel mio lavoro – spiegava il designer in un’intervista pubblicata sulla rivista Area nel 1997 – c’è una sorta di disciplina con cui mi accosto al tema progettuale, la quale non garantisce sempre un’ortodossia del minimale che, francamente, non è l’obiettivo. Mi riferisco invece al tentativo di impiegare una serie di tecniche contemporanee che comportano una tendenza alla convergenza e all’integrazione delle funzioni e delle parti. (…) Noi progettisti disegniamo utilizzando raccordi, inclinazioni, lunghezze, tagli, tipici della modalità produttiva della macchina. Elaboro tutto o quasi direttamente al computer: in questo modo sono costretto a sviluppare in maniera simultanea alla crescita del progetto tutti gli aspetti di scelta problematica”. Un approccio che aiuta a spiegare l’organicità e l’essenzialità di bellissimi oggetti in cui “la forma non preesiste ma è solo relazione fra le parti. È successiva emersione, si svela nel processo, è riduzione delle parti componenti”, come fa osservare Marco Sammicheli nel catalogo della mostra.
DESIGN GAME
Osservando le strutture naturali e i loro meccanismi funzionali proviamo stupore e, poi, il piacere della mente e dello sguardo che ne apprezzano l’economia formale, il ritmo compositivo, la sincronia magica di tutte le parti di un sistema. Introdotta da una collezione di giocattoli artigianali, la mostra apre con una sezione in cui i progetti più celebri di Alberto Meda sono trasformati per invitare il visitatore a interagire con essi scoprendone le caratteristiche. Per esempio, la diversa densità e, di conseguenza, la sonorità degli elementi strutturali della poltrona da ufficio Physix (Vitra, 2012), stampati a iniezione in poliammide caricata con fibra di vetro in quote variabili dal 20 al 60%, diventa pretesto per uno xilofono. La chaise longue Longframe (Alias, 1994) è progettata per scaricare tutto il peso del corpo sui cavi in Kevlar®: tesi come le corde di un contrabbasso si possono suonare. La rotazione dei filtri in policarbonato di vari cromie scherma e colora mutevolmente la sorgente di luce bianca, mostrando il principio alla base dell’eterea Titania, sospensione progettata con Paolo Rizzatto (Luceplan, 1989). “Il tema del gioco poteva permetterci, stravolgendo gli oggetti e andando oltre la funzionalità che mostrano normalmente, di far sperimentare alle persone modalità costruttive e soluzioni tecniche che altrimenti non si vedrebbero, perché non c’è motivo di farle vedere. Il mio scopo è quello di usare i materiali contemporanei e la tecnologia per cercare di fare degli oggetti semplici: non voglio esibire la complessità, anzi, il risultato finale è semplice, che vuol dire complessità risolta”, ha spiegato Alberto Meda durante la presentazione alla stampa.
STRUTTURA E SCULTURA: I COMPOSITI
Il designer ci ha accompagnato passando in rassegna i marchingegni (davvero “ordigni ingegnosi” secondo Treccani, ed “espedienti abili e accorti per ottenere o compiere qualcosa”, secondo De Mauro) che rendono agili e confortevoli i suoi oggetti: dalla versatilità della seduta per aeroporti Meda Gate (Vitra, 2011), in cui la scocca in schiuma poliuretanica integrale è ancorata alla struttura con due sole viti in un meccanismo cantilever (a sbalzo), pronta alle frequenti modifiche dei layout, all’articolazione a ‘ginocchio’ dei piedini della lampada Lola (che permettono di ridurre l’ingombro durante la spedizione e il trasporto) con una cerniera integrata che applica la tecnologia del poliuretano autopellante utilizzata nella produzione di volanti auto.
‘Tensione e leggerezza’ sono le cifre prestazionali dei materiali compositi, un nucleo tematico della mostra che si interseca anche con il focus sul lighting design sempre nella Lola del 1987: il corpo è realizzato per filament winding, la testa è in poliestere caricato con fibra di vetro stampato a iniezione, il piede è prodotto in pressofusione di zama con rivestimento in poliuretano integrale flessibile.
La sedia Light light fa parte della collezione del MoMa di New York: è una “ricerca sperimentale sulla tecnologia dei compositi con l’intento di verificarne le possibilità d’utilizzo in oggetti d’uso domestico; – scrive Alberto Meda sul proprio sito web – un sandwich con il cuore in nido d’ape di Nomex® e pelli di rivestimento in tessuto unidirezionali di carbonio. L’obiettivo del progetto è quello di contenere al massimo il peso, per evidenziare le prestazioni strutturali. Per questo le sezioni della struttura sono ‘tirate all’osso’, ottenute ‘per levare’ con un approccio di natura scultorea”.
Tra i pochissimi progetti che non sono diventati prodotti merita menzione la celebre Solar Bottle, uno studio del 2006 condotto con Francisco Gomez Paz. Il contenitore in PET, per metà trasparente e per metà alluminizzato, per depurare acqua contaminata con l’effetto dei raggi solari non ha superato la prova di vita. I designer hanno poi sviluppato Solar Sensor, dispositivo con elemento fotocromico da applicare direttamente sulle bottiglie conservate in situazioni dubbie per capire se l’acqua è ancora potabile.
A.F.