GIOVANI, CREATIVI E PREOCCUPATI
Maggio 12, 2023Una collettiva dedicata agli under 35: design “sistemico, relazionale, rigenerativo”.
Il primo impatto con la mostra ‘Italy: A New Collective Landscape’ è dei più spiazzanti, allestita com’è negli spazi di ADI Design Museum: il ‘corpo a corpo’ con i prodotti premiati dal Compasso d’Oro, ovvero il disegno industriale così come lo abbiamo conosciuto finora, rende ancora più manifesto il gap tra temi, manufatti, materiali.
Dove sono i prodotti? Da dove vengono questi materiali? Dove finisce l’installazione artistica e dove comincia il design? È artigianato o trovarobato, performance o irrisione? Prodotta da ADI Design Museum, curata da Angela Rui con Elisabetta Donati de Conti e Matilde Losi, allestita dallo studio Parasite 2.0, l’esposizione documenta lo scenario creativo dei giovani progettisti italiani, che si dimostra in piena sintonia con i lavori proposti dalle Università del design di tutto il mondo: per citare solo un esempio, con le ricerche presentate nel Fuori Salone ‘We Will Design’ presso BASE Milano.
Inaugurata il 4 aprile, nella cornice della Milano Design Week (17-13 aprile 2023), la mostra prosegue sino al 10 settembre, arricchita da un programma pubblico che prevede incontri, workshop, sessioni e performance condotte dagli stessi progettisti. Per capire meglio e riorganizzare lo sconcerto, può essere utile accogliere i suggerimenti della curatrice Angela Rui: “Rimanete. Giocate. Tornate”.
IL “PAESAGGIO DOMESTICO” È SATURO
Le problematiche globali e le continue trasformazioni ecologiche e sociali costituiscono il punto di partenza delle opere in mostra. “‘Italy: The New Domestic Landscape’, era il titolo dell’esposizione curata da Emilio Ambasz al MoMA di NewYork nel 1972, che portò il design italiano al mondo facendo dell’Italia il punto di riferimento della disciplina moderna per eccellenza. Esportando l’idea dell’Italian Design, attraverso l’opera dei giovani progettisti di allora, si è fatta la fortuna di un intero sistema di cui ancora oggi si sente il riverbero: questa mostra è una proposta di superamento della nostalgia che tanto lega gli ambienti del progetto a quel periodo storico perché, forse, la risposta creativa potrebbe nuova- mente ispirare un tessuto produttivo e manifatturiero in cerca di cambiamento”, spiega Rui.
La scarsità di prodotti immediata- mente riconoscibili come tali nel ‘nuovo paesaggio’ lascia intendere che nella sensibilità delle nuove generazioni gli oggetti già prodotti sono anche troppi o, comunque, ampiamente sufficienti ai nostri bisogni pratici. È più di un sospetto, rafforzato dalla scarsità altrettanto evidente di vere novità al Salone del Mobile di quest’anno, una tendenza sempre più marcata nelle ultime edizioni: a rubare la scena con la loro genialità, la funzionalità e la capacità di suscitare desiderio ed empatia sono le riedizioni di arredi, complementi e lampade dei grandi maestri degli anni Settanta, Ottanta, Novanta e poco altro.
SIAMO LO STESSO COINVOLTI
È chiaro che la creatività deve trovare nuovi obiettivi. “Modi virtuosi di pensare, di essere e di produrre che si concentrano sul restituire più di quanto si prenda. Può la pratica del design avanzare proposte concrete per diventare uno strumento di transizione sociale, ecologica e politica, rendendo funzionanti visioni volte a progettare relazioni più gentili? La parola progetto ha la sua origine latina in pro (avanti) jacere (gettare), gettare avanti ovvero proiettare. Nel disegnare strumenti, si progettano modi di essere mediati non solo da oggetti, ma anche da un nuovo funzionamento di istituzioni, relazioni e modalità produttive. Se le conseguenze antropocentriche di produrre, consumare e vivere stanno diventando dolorosamente chiare, c’è da credere che il design ha avuto un ruolo in tutto questo e ha contribuito alla costruzione di una mentalità che considera gli interessi umani separatamente da quelli del pianeta”.
La dimensione politica, ludica, sociale, ‘circolare’ dei lavori proposti nel nuovo ‘panorama collettivo’ è spesso un’ispirazione, un invito alla riflessione, una gioiosa, puntuale provocazione: i ‘non prodotti’ sono progetti aperti, e, come si dice oggi, fluidi e interconnessi. E, sorpresa!, rieccoci agli anni Settanta, Ottanta ecc., dove troviamo già, negli oggetti dei grandi designer che non soffrono di obsolescenza programmata, la preoccupazione per il degrado ambientale, l’attenzione all’economia delle risorse, la costruzione di mobili fai da te come un kit accessibile a chiunque sempre diverso, arredi per socializzare nelle modalità più informali, abiti per assumere diverse identità, interni come elementi di un palco- scenico, la tecnologia che ci rende creature ibride e molto altro.
UMANO E NON UMANO
La struttura della mostra è articolata in tre aree progettuali: il Design Sistemico osserva ed esplicita l’insieme di relazioni che un progetto mette in moto per le risorse di cui ha bisogno e i risultati che genera, e per la promozione di modelli di sviluppo inclusivi, sostenibili e circolari. Lo Studio Older lavora sul concetto di furniform (furniture+uniform): le uniformi agiscono come un’estensione architettonica tra l’edificio e le stanze in cui sono usate, sono abiti trasformabili che diventano mobili (le giacche sono poltrone, i pantaloni tavoli ecc). Matteo Scalabrini propone un modulo batteria portatile standardizzato applicabile a tutti i dispositivi elettrici, dallo skateboard alla stampante 3D, agli elettrodomestici, per ridurre al minimo lo sfruttamento di esseri umani nella pericolosa estrazione del litio.
Nel Design Relazionale il progettare è inteso come pratica sociale e strumento per favorire comunità e interdipendenza, umana e non umana. La tecnologia può aiutarci a riacquistare la consapevolezza placando il lavorio mentale: l’intensità della luce ‘nuda’ di I miss you, di Sara Bozzini con Tiago Rorke, è regolata dal respiro dell’utilizzatore. Il progetto Games we’ll never play “illustra come giochi tradizionali possano diventare aberranti, noiosi o frustranti se ricalibrati per essere giocati da macchine che pensano e percepiscono il mondo in modo differente dagli essere umani” spiegano i designer di This is not a DUO. Hyperburgers Inconvenience Store, di Francesca Tambussi, è un negozio di gastronomia autogestito dai consumatori-produttori. Il Design Rigenerativo studia come i processi produttivi possano avere un impatto positivo sull’ambiente, avanzando proposte in grado di con- ciliare i bisogni della società con l’imperativo di preservare il più possibile i sistemi naturali.
Il kit Movement of Change contiene attrezzature sportive e messaggi di sensibilizzazione all’urgenza climatica: per lanciare, attraverso le performance dell’atleta, “immagini d’impatto e formare una comunità per proteggere quello che per alcuni è il nostro campo da gioco, ma prima di tutto è la nostra casa”, spiega il designer Alessandro Simon. Tessili naturali e biopolimeri stampati in 3D sono gli ingredienti delle calzature ibride sviluppate da Eugenia Morpurgo e Sophia Guggenberger nel progetto Syntropia; Eating SCOBY (Symbiotic Culture Of Bacteria and Yeasts, cultura simbiotica di batteri e lieviti) è un materiale per il packaging alimentare di Emma Sicher.
Anna Fiorini