IA E CREATIVITÀ
Dicembre 10, 2024L’intelligenza artificiale amplifica le potenzialità umane: opportunità e controindicazioni.
Ormai onnipresente in ogni ambito di discussione, il tema dell’intelligenza artificiale suscita entusiasmi, perplessità e qualche sbadiglio, specialmente qualora le sue implicazioni pratiche restino nel vago: ma non è stato il caso della tavola rotonda “Creatività e codice: il futuro del design nell’era dell’intelligenza artificiale”, che si è svolta il 31 ottobre 2024 all’ADI Design Museum di Milano.
L’occasione è stata fornita dalla 26a edizione del premio Targa Bonetto, che seleziona la migliore tesi di Laurea degli studenti delle scuole universitarie di design: su questa tecnologia e sul suo impatto sul futuro del progetto si sono confrontati Emilio Billi, esperto di intelligenza artificiale; Francesco Zurlo, preside della Scuola di Design del Politecnico di Milano; Federico Ferretti, responsabile del design di Haier Europe; Luciano Galimberti, presidente ADI.
MATEMATICA ED EVOLUZIONISMO
“L’intelligenza è la capacità di risolvere un problema in maniera dinamica – osserva Emilio Billi, adottando una definizione di Stefano Mancuso -. Se cucino una torta seguendo pedissequamente la ricetta ragiono in maniera rigida, se assaggio un piatto e cerco di ricostruire le fasi che hanno portato alla preparazione del piatto non seguo regole precodificate. Diversamente dal computer, istruito da un programmatore con un codice rigido di output in risposta agli input, l’intelligenza artificiale apprende da sé e comprende le relazioni tra causa ed effetto per risolvere in maniera del tutto autonoma i quesiti che le vengono posti.
Teorizzata negli anni Cinquanta sulla base delle intuizioni di Alan Turing, l’IA si è sviluppata di pari passo con la matematica: utilizza un polinomio contenente un numero altissimo di elementi, per esempio, ChatGPT ne ha 172.000, una scala di grandezza talmente elevata che non può essere eseguita dall’uomo e che elabora informazioni con impressionante rapidità grazie a potentissime reti neuronali. In questo modo è in grado di creare dei contenuti, ovvero le risposte a una domanda, partendo dai dati che può acquisire in qualsiasi formato (immagini, file musicali, testi): formula delle ipotesi e riduce al minimo la differenza con il vettore matematico correlato alla domanda. Alla capacità di capire i contenuti la macchina associa la memoria esatta di tutte le informazioni apprese. Inoltre, se ho abbastanza spazio e potenza di calcolo posso simulare la capacità di due cervelli e metterli in comunicazione tra di loro: l’uno giudica l’altro finché non si ottiene un oggetto che sia il più vicino possibile alle caratteristiche che ho indicato, seguendo un criterio assai simile all’evoluzionismo di Darwin. Se, per esempio, voglio inventare un calcolatore che consumi il 30% di energia in meno a fronte della stessa potenza di calcolo e che costi molto meno grazie a una serie di ottimizzazioni, fornirò alla macchina tutte le informazioni affinchè capisca il contesto, che diventa l’habitat al quale adattarsi: le ipotesi più interessanti verranno portate avanti per generare altre ipotesi, le altre verranno cancellate, fino ad avvicinarsi il più possibile alla richiesta iniziale. Tutto perciò è ricondotto alla domanda che ho posto: la macchina non è autocosciente, né, ovviamente, dotata di gusto estetico o di principi etici”.
POSSIBILITÀ E RESPONSABILITÀ
“In ambito formativo, l’intelligenza artificiale rende rapidissima e puntuale la creazione di contenuti: – spiega Francesco Zurlo – un Chatbot (il software che simula ed elabora le conversazioni umane, consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali) sostituisce, per esempio, le risposte articolate a domande di routine poste dagli studenti.
Da sempre il designer deve colmare il gap tra l’evoluzione del progresso umano e l’evoluzione delle tecnologie, che nel caso dell’IA è impressionante: per raggiungere un milione di utenti, a Facebook sono stati necessari dieci mesi, a Spotify cinque, a Instagram due mesi e mezzo, a ChatGPT cinque giorni.
Tra i vantaggi concreti di questa rapidità e memoria c’è la possibilità di conoscere le preferenze dell’utente, che oggi comprende un pattern di comportamenti sfuggevoli all’essere umano ma non a un sistema correttamente istruito. Un altro aspetto significativo concerne il cosiddetto ‘problem framing’: di fronte a un nuovo progetto, nonostante un brief ben dettagliato, il percorso o il processo mentale del designer sarà comunque diverso da quello di un collega, ma il problema mal definito può essere risolto confinando il campo in cui muoversi. L’IA può essere utilissima nel bypassare i propri pregiudizi e convinzioni, integrando qualcosa a cui non avevi pensato che può avvicinarti alla soluzione ideale. Il largo impiego della visualizzazione, inoltre, favorisce il design thinking generando informazioni comprensibili a tutti gli interlocutori. La tecnologia mostra anche alcune controindicazioni: dalla necessità di imparare a dialogare con la macchina ponendo le domande giuste al consumo energetico elevatissimo dei sistemi IA, al problema della proprietà intellettuale posto da una macchina che funziona con l’autoapprendimento delle informazioni disponibili”.
IL DESIGNER E LA COMPLESSITÀ DEL REALE
“L’IA sta entrando in azienda attraverso i progettisti più giovani: un po’ come un movimento punk, che trova le imprese sostanzialmente impreparate. – sottolinea Federico Ferretti – Il suo impatto influenza progetto, processo e prodotto. Capire e soddisfare i bisogni concreti degli utilizzatori, anche considerando che molti nostri prodotti sono connessi in rete, sarà più rapido e agevole. Probabilmente tra due o tre anni il team di design converserà con utenti ‘sintetici’ gestendo l’interazione con IA. Per quanto riguarda il processo, stiamo già utilizzando dei pattern che contengono gli stilemi e altre caratteristiche dei diversi marchi che produciamo per ottenere molte varianti: ci aiuteranno, per esempio, a scegliere quale manopola o quale interfaccia sia più coerente con lo stile del brand o del prodotto. I nostri prodotti utilizzano già l’intelligenza artificiale per identificare il punto di cottura preferito e corretto di un cibo nel forno: in futuro si potrà interloquire con elettrodomestici che ‘parleranno’ nel linguaggio confacente a un apparecchio Candy o Haier.
Una volta liberate energie e risorse umane dagli aspetti più tradizionalmente legati al design (estetica, funzionalità, interazione), i progettisti e le aziende potranno occuparsi di temi come la sostenibilità, l’economia, l’etica, ampliando una logica di business alla realtà dinamica in cui siamo immersi”. Nell’utilizzo di questo strumento affascinante per la molteplicità dei punti di vista che propone, la responsabilità e la scelta restano all’uomo, così come la capacità di creare relazioni con gli oggetti. Lo sottolinea Luciano Galimberti, riassumendo gli aspetti critici dell’intelligenza artificiale nell’esigenza di salvaguardare priorità etiche, proprietà intellettuale, qualità delle informazioni alle quali attingono i sistemi.
Di queste nuove sollecitazioni dovrà farsi carico il mondo dell’università, reintegrando il sapere umanistico in percorsi formativi che oggi prediligono la formazione tecnico-scientifica.
A.F.